È arrivato a 197 palestinesi uccisi, di cui 58 bambini, il devastante bilancio dei bombardamenti condotti da Israele sulla Striscia di Gaza. Che hanno provocato il ferimento di più di 1.200 persone. Al contempo, i razzi lanciati da Hamas verso lo stato ebraico hanno provocato la morte di dieci persone e quasi 300 feriti.

Le conseguenze dei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza
Le conseguenze dei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza © Fatima Shbair/Getty Images

Dal Consiglio di sicurezza nessun passo in avanti sul conflitto a Gaza

Di fronte a tale tragedia umanitaria, il mondo – una volta ancora – non è riuscito a trovare una posizione comune. Domenica 16 maggio si è tenuta infatti la terza riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto. E anche stavolta non è stata adottata alcuna dichiarazione comune, né è stata avanzata alcuna proposta che possa avviare un processo di pace.

Nel corso del summit, il ministro palestinese degli Esteri, Riyad al-Maliki, ha accusato Israele di “crimini di guerra”, parlando di “aggressione” da parte dello stato ebraico: “Alcuni non vogliono utilizzare queste parole, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma sanno tutti che è la verità”. L’ambasciatore israeliano presso gli Stati Uniti e presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha invece accusato il movimento palestinese Hamas di aver “premeditato” una guerra contro il suo paese, con l’obiettivo di “prendere il potere in Cisgiordania”.

La Cina: “Gli Stati Uniti unica nazione contraria a una posizione comune”

È intervenuto inoltre il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che ha parlato di “ostruzionismo” da parte degli Stati Uniti in seno al Consiglio di sicurezza, impedendo che quest’ultimo possa adottare una dichiarazione comune. Il responsabile della diplomazia di Pechino ha confermato dunque che gli altri paesi membri sarebbero stati favorevoli ad approvare un testo preparato dalla stessa Cina, assieme a Norvegia e Tunisia, ma sul quale Washington ha posto di fatto il proprio veto.

Una protesta pro-Palestina a Chicago, negli Stati Uniti
Una protesta pro-Palestina a Chicago, negli Stati Uniti © Scott Olson/Getty Images

Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha da parte sua ribadito che gli scontri devono “cessare immediatamente”, poiché rischiano “di scatenare una crisi incontrollabile dal punto di vista umanitario e di sicurezza”. Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite si sta assistendo ad una “insensata serie di spargimenti di sangue, di terrore e di distruzione”.

Bernie Sanders: “Perché nessuno si pone domande sui diritti dei palestinesi?”

Ciò nonostante, domenica gli Stati Uniti hanno continuato a porre di fatto il loro veto su una dichiarazione comune, che potrebbe aiutare ad arrivare rapidamente ad un cessate il fuoco. Il segretario di stato americano Antony Blinken ha parlato con numerosi ministri degli Esteri della regione: dal Qatar all’Egitto, all’Arabia Saudita. La posizione degli Stati Uniti rischia inoltre di creare dissidi interni nel partito democratico.

Il senatore Bernie Sanders ha spiegato dalle colonne del New York Times che “Washington deve smettere di difendere il governo di Benjamin Netanyahu. Che sia chiaro: nessuno pensa che Israele non abbia diritto di difendersi o di proteggere il suo popolo. Ma perché non ci si chiede mai quali siano i diritti del popolo palestinese?”.

Ancor più duro il commento dell’astro nascente dei democratici americani, Alexandria Ocasio-Cortez, che ha parlato commentato senza mezzi termini: “Gli stati che praticano l’apartheid non sono democrazie”.

Nuovi pesanti bombardamenti nella Striscia di Gaza

Nel frattempo, le bombe continuano a piovere a Gaza. Alle prime ore di lunedì 17 maggio, l’aviazione israeliana ha condotto una nuova, intensa serie di raid, colpendo decine di volte nel giro di pochi minuti, secondo quanto indicato da un giornalista dell’agenzia Afp presente sul posto. Sono centinaia gli edifici danneggiati: secondo il governo di Netanyahu si tratta di luoghi utilizzati dai comandanti di Hamas, il movimento islamico di resistenza della Palestina.

Soccorritori al lavoro nella Striscia di Gaza
Soccorritori al lavoro nella Striscia di Gaza © Fatima Shbair/Getty Images

Secondo il ministero della Salute di Gaza sono più di 40mila le persone costrette ad abbandonare le loro case dall’inizio dei bombardamenti. L’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha spiegato di aver dovuto utilizzare i locali di una quarantina di scuole per poter accogliere la popolazione in fuga.

Reporter senza frontiere sul raid contro i media stranieri: “Crimine di guerra”

Il primo ministro Netanyahu si è nuovamente rivolto alla popolazione israeliana spiegando che le operazioni militari dureranno probabilmente a lungo e ha invitato gli israeliani a limitare le attività fuori di casa. In un’intervista concessa all’emittente americana Cbs, ha giustificato il bombardamento di una torre di 13 piani al cui interno erano presenti i locali di una serie di testate e agenzie di stampa straniere spiegando che esso “rappresentava un obiettivo perfettamente legittimo”. Ciò in quanto nella struttura si sarebbero nascosti anche servizi di Hamas.

Fatto del quale, tuttavia, i numerosi giornalisti stranieri che frequentavano l’edificio non si erano mai accorti. Tanto che Reporter senza frontiere, domenica 16 maggio, ha presentato una denuncia presso la Corte penale internazionale, accusando Israele di aver commesso “un crimine di guerra” colpendo i mezzi d’informazione.

La nazione ebraica ha inoltre affermato di aver attaccato le case in cui risiedono Yahya Sinouar, capo di Hamas a Gaza, e di suoi fratello, giudicato “un militante terrorista”. Fonti palestinesi hanno confermato il bombardamento e la distruzione delle due abitazioni, ma non si conosce la sorte del dirigente.