La questione degli uiguri è al centro di una guerra diplomatica tra la Cina e il mondo occidentale. Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna nei giorni scorsi hanno comminato una serie di sanzioni contro funzionari di Pechino a causa delle violazioni dei diritti umani che da decenni avvengono nello Xinjiang, dove la minoranza musulmana è vittima di un vero e proprio genocidio culturale. La Cina, in risposta, ha denunciato l’interferenza internazionale nei suoi affari interni e ha sottoposto ad altrettante sanzioni politici, avvocati e altre personalità europee.

Una manifestazione negli Stati Uniti per i diritti degli uiguri
Una manifestazione negli Stati Uniti per i diritti degli uiguri © Chip Somodevilla/Getty Images

La questione uigura sotto i riflettori occidentali

Non è la prima volta che dall’Occidente arrivano prese di posizione contro la Cina a causa del trattamento riservato al popolo uiguro. Tra campi di concentramento, violenze, cancellazione del patrimonio artistico-culturale, indottrinamento e sorveglianza di massa, nello Xinjiang si sta consumando una delle più gravi tragedie dell’era contemporanea, come denunciato da numerosi rapporti e da diverse inchieste. Già l’ex segretario di Stato Mike Pompeo nel gennaio scorso aveva denunciato la situazione, così come poi ha fatto il suo successore Antony Blinken. L’Unione Europea ha invece alzato la voce nella persona dell’Alta Rappresentante Federica Mogherini, mentre la Gran Bretagna ha interrotto alcuni rapporti commerciali con Pechino a causa delle violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza musulmana.

Nei giorni scorsi si è aperto un altro round della disputa, con un’offensiva diplomatica condivisa da parte del mondo occidentale. Il Consiglio d’Europa ha comminato sanzioni contro quattro funzionari cinesi, qualcosa che non accadeva dal 1989 e che ha fatto parlare del momento più teso dell’ultimo trentennio nelle relazioni sino-europee. Si tratta di Zhu Hailun, ex vicecapo dell’Assemblea del popolo dello Xinjiang, Wang Junzheng, segretario di un’organizzazione economica e paramilitare dello Xinjiang, Wang Mingshan, segretario del comitato per gli affari politici e giuridici della regione e Chen Mingguo, direttore dell’ufficio locale per la pubblica sicurezza. Tutti sono accusati di essere in qualche modo tra le menti delle violazioni sistematiche dei diritti umani che si stanno consumando nella regione.

Anche la Gran Bretagna il 22 marzo ha imposto sanzioni contro le stesse quattro personalità, con il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Dominic Raab che ha parlato della “più grande detenzione di massa di un gruppo etnico e religioso dalla seconda guerra mondiale”, mentre gli Stati Uniti e il Canada hanno colpito altri funzionari cinesi operativi nello Xinjiang, riferendosi senza mezzi termini al “genocidio” in corso.

La risposta della Cina

Pechino si era già irritata a inizio marzo, dopo che la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, avevano chiesta chiarezza per un’inchiesta della Bbc sugli stupri contro le donne nei campi di internamento per uiguri. La Cina aveva parlato di menzogne, oscurando la rete inglese nel paese. Ora, con l’offensiva diplomatica occidentale, le autorità cinesi hanno risposto con altrettante sanzioni.

Dieci cittadini e quattro istituzioni dell’Unione Europea sono stati colpiti dalle misure coercitive di Pechino. Si tratta in particolare di cinque membri del Parlamento europeo, oltre ad alcuni esponenti di Parlamenti nazionali e intellettuali, che non potranno più recarsi in territorio cinese e fare affari col paese. L’accusa è che queste personalità, con le loro dichiarazioni e con le loro attività di sensibilizzazione sulla situazione nello Xinjiang, abbiano danneggiato l’immagine internazionale della Cina e violato la sua sovranità. Nelle scorse ore poi anche alcuni cittadini britannici – membri del parlamento, avvocati e professori universitari –  oltre a quattro aziende, hanno subito altrettante sanzioni. E lo stesso potrebbe presto accadere con gli Stati Uniti e il Canada, a chiudere il cerchio.

Mentre la guerra delle sanzioni prosegue, senza che si sappia fino a che livello potrà arrivare lo scontro, l’unica certezza è che il dossier uiguro è sempre più sotto la lente internazionale, dopo essere rimasto in sordina per lungo tempo. Una buona notizia, per una comunità da 12 milioni di persone che vive in uno stato quotidiano di coercizione.