Siamo tutti alle prese con una pandemia che finora ha colpito 123 milioni di persone in tutto il mondo, con 2,7 milioni di morti, innescando al tempo stesso la più grave recessione economica dal secondo Dopoguerra. Da tempo gli esperti ci avvertono del fatto che non si tratta solo di una sciagurata casualità, perché la distruzione della natura a opera dell’uomo “ci ha portati pericolosamente vicini agli animali e alle piante che ospitano malattie che possono facilmente passare agli esseri umani”, per citare Inger Andersen, numero uno del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). Ora un nuovo studio, pubblicato da Frontiers in veterinary science, conferma questa tesi e rilancia: la distruzione della biodiversità, in tutte le sue forme, ci espone pericolosamente alle epidemie.

Il legame tra biodiversità ed epidemie

In una foresta in salute, sostengono gli autori, le malattie infettive vengono filtrate e bloccate dalle specie specialiste. Con questa classificazione si indicano tutte quelle che vivono esclusivamente in un determinato ecosistema, si nutrono soltanto di un tipo di cibo specifico e sono quindi molto vulnerabili a qualsiasi variazione delle condizioni climatiche e ambientali. Cosa succede però quando la foresta viene rasa al suolo, o viene sostituita da piantagioni intensive di palme da olio, soia o eucalipto? Che queste specie specialiste muoiono e lasciano spazio a quelle generaliste (come topi e zanzare) che diventano vettori dell’agente patogeno.

Coltivazioni intensive di soia in Brasile © Tiago Fioreze/Wikimedia

L’elemento di novità di questo studio sta nel fatto che non si ferma a considerare la deforestazione, ma mette anche in guardia da determinate attività agricole e di piantumazione di alberi, quando si svolgono su scala intensiva, senza riguardo per la biodiversità e i suoi delicati equilibri.

Occhi puntati su deforestazione e monocolture intensive

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori delle università di Montpellier, Bangkok e Marsiglia hanno passato in rassegna le statistiche ufficiali relative alla copertura forestale, alle piantagioni, alla popolazione e alle epidemie nel periodo compreso tra il 1990 e il 2016. Nello specifico, hanno esaminato 3.884 diverse zoonosi (cioè malattie trasmesse dall’animale all’uomo) e 1.996 epidemie di 69 malattie contagiose trasmesse da vettori, soprattutto zanzare, mosche e zecche.

Dal loro studio emerge in modo chiaro il fatto che le epidemie diventino più frequenti proprio laddove diminuisce la superficie forestale e aumenta quella destinata alle grandi piantagioni. Di per sé, specifica il quotidano Guardian nel riportare la notizia, una correlazione non testimonia necessariamente un rapporto di causa-effetto. È per questo che gli studiosi hanno anche fatto riferimento a singoli episodi che attestano il legame tra i due fenomeni. “Dobbiamo prendere in maggiore considerazione il ruolo delle foreste per la salute umana, animale e ambientale”, conclude uno degli autori, Serge Morand. “Il messaggio di questo studio è: non dimentichiamo le foreste”.